Secondo la recente analisi dell’Ocse, c’è uno spartiacque tra i nati prima del 1970 e dopo. E quel che distingue e definisce i due insieme sono le competenze. Se ai nati prima di tale data venivano richieste capacità e una preparazione di medio livello, i più giovani si trovano in una situazione paradossale. A una buona quota non è più sufficiente un’istruzione media perché la preparazione richiesta è sempre più specialistica. A un’altra quota, invece, vengono proposti impieghi che nulla hanno a che vedere con gli studi svolti, ricoprendo così incarichi molto al di sotto delle loro aspettative e possibilità.
Un simile iato tra la preparazione media dei candidati e l’offerta alta o bassa del lavoro è stato rilevato anche dal Rapporto annuale dell’Istat. L’istituto italiano di statistica ha messo in guardia il Paese sostenendo testualmente che si registra “una polarizzazione tra le professioni più qualificate, da un lato, e quelle esecutive con livelli di autonomia molto bassi, dall’altro”. Che fare? La preparazione personale è l’unico ingrediente utile ad ambire alle posizioni più soddisfacenti. Attenzione, il Coronavirus ha estremizzato tale situazione, ma non l’ha generata.
L’occupazione italiana è caratterizzata da profili con competenze molto specializzate e altri impieghi ripetitivi che non richiedono un valore aggiunto da parte dell’operatore.
Si tratta così, in quest’ultimo caso, di lavoratori ai quali non è proposta, da parte dell’azienda, una formazione continua, né il lavoratore ritiene utile imparare. Eppure, i campanelli di allarme sono numerosi, che venga richiesto o meno dal capo, è importante non fermarsi e continuare a coltivare il proprio valore e la propria employability. Un esempio? Il lockdown ha costretto tutti a far fronte all’emergenza tramite le capacità digitali. Ebbene il virus non ha dato il tempo per acquisire tali conoscenze. È stato così che, secondo l’Istat, il mercato del lavoro ha subito un processo rapido che ha reso le competenze tecnologiche un fattore determinante per aumentare il valore del proprio ruolo in azienda, ma anche le probabilità di successo nella ricerca di un nuovo lavoro o la riduzione del rischio di disoccupazione. “In questa prospettiva, carenze nelle capacità digitali possono, da un lato, ridurre la velocità di adattamento del nostro mercato del lavoro e, dall’altro, aumentare il rischio di segmentazione e diseguaglianza tra i lavoratori”: i dati Eurostat evidenziano un ritardo del Bel Paese che registra una maggiore concentrazione di occupati nella parte bassa delle abilità digitali – nel 2019 il 39% non ha nessuna o scarsa capacità – rispetto alla media UE (31%). Un nuovo riposizionamento, allora, sarà possibile solo se si avranno in tasca le cosiddette high skills, quelle capacità che sono in linea con il mercato del lavoro globale, che rispondono a una formazione continua della persona e che, soprattutto, rispecchiano la volontà del singolo di non accontentarsi, non fermarsi, ma di fare della propria crescita personale il biglietto da visita migliore per il più ampio spettro di offerte lavorative.