“Io faccio il mio”: è un ritornello sentito e ri-sentito in uffici, sala riunioni, open space. Insomma, spesso nel lavoro si pensa che vada bene adempiere ai propri stretti compiti; limitarsi, ecco, rispettando il ruolo dell’altro. Ma così non è.
Fare il proprio è auspicabile, ma non è che il primo passo o, meglio, la base del proprio sviluppo professionale. Limitarsi solo a rispondere al compito affidato può risultare miope.
Il lavoro è un domino, dove ogni mossa ne richiama un’altra, i legami sono stretti e la logica del piccolo orticello non porta a una crescita autentica.Non è vero sviluppo personale, infatti, quello che tende a escludere i rapporti interpersonali, gli scambi con i colleghi, i brainstorming, il lavoro di squadra, un rischio, la conoscenza del contesto, lo studio del mercato, dei competitor. E tutto questo è potenziato se avviene all’unisono, insieme.
Quante volte abbiamo considerato una perdita di tempo il confronto, la richiesta disattesa di un consiglio, lanciare un SOS nella disillusione che non ci sarebbe mai stata alcuna reazione dall’altra parte.Vedersi derubare di nuove idee, lavorare di più, perdere una propria soddisfazione sono rischi, ma la ricchezza che emerge dal lavorare in squadra supera di gran lunga ogni possibile scalino, ogni crisi.
Il mestiere, infatti, non è da valutare come una technicality da mettere in atto in senso verticale, perché la skill porterà effetto se attuata in un contesto compreso in tutte le sue variabili.
E se si è sinceri, umili, realisti appare subito evidente come la totalità sia molto difficile da comprendere per la sua complessità e che, forse, una squadra possa vedere meglio di un singolo. Occupiamoci del mondo intero e, solo allora, porteremo il nostro contributo.