Quanto pesa il modello di leadership sulla “Great Resignation”
“Non si scappa dal lavoro, ma dal capo e dalla situazione tossica che si è creata”, potremmo sintetizzare così – certo, brutalmente – l’articolata panoramica di dati del Global Re:work Report 2023 sul mercato del lavoro attuale e sull’ondata di dimissioni che coinvolge trasversalmente tutti i settori. Una massa tale di dimissioni volontarie, certificata anche quest’anno dalla fotografia Inps, che pare non ancora orientata a fermarsi, anzi.
La differenza di un leader illuminato per la Great Resignation
Un’evidenza che ci porta a considerare il valore aggiunto di un vertice illuminato che ha coraggio di prendere decisioni e sicuro di sé stesso, tale da adottare una leadership partecipativa. Il che non significa che la guida non si assuma la responsabilità di dare la direzione del cammino, anzi, ma che la disegni anche considerando il talento, le inclinazioni, l’intuizione delle proprie persone.
È un modo di “fare il capo” molto più complesso, che contempla l’ascolto della forza lavoro e, a un livello più profondo, il coinvolgimento di tutti. È una leadership che non guarda solo ai risultati quantitativi ma anche al percorso qualitativo che conduce al risultato stesso. Perché sono la considerazione, la stima, il rispetto (professionale e personale) fanno la differenza. Ciò significa, tradotto in pratica, un piano di crescita e di sviluppo di conoscenze e competenze, di riconoscimento (economico e non solo) dei successi ottenuti e del giusto (e necessario) bilanciamento con la sfera privata.
Chi si sente stimato da il massimo
Infatti, guardando lo studio da un’altra prospettiva e focalizzandoci sul “chi resta” cioè su quelle aziende che riescono a rimanere attrattive nel tempo e fidelizzare le proprie persone, vediamo realtà che costruiscono piani di carriera, che lasciano spazi di confronto, che lavorano sull’idea di team, dove ognuno ha un suo ruolo ben definito ed è sollecitato a portare valore e sviluppo, per il bene proprio e di tutti.
L’approccio inclusivo come antidoto al Quiet Quitting
È l’approccio inclusivo che convince a restare, anche ne caso di ruoli chiave, e – soprattutto – che supera l’odioso fenomeno del quiet quitting cioè del dare il minimo indispensabile. Un metodo di lavoro che non soddisfa nessuno, né le performance né coloro che lo attuano perché è connaturato nell’umano il desiderio di soddisfazione. Il quiet quitting è più che altro una strategia di difesa, per non perdere il proprio lavoro e contemporaneamente mantenere un distacco da un luogo dove non ci si sente accolti. Ma se la strategia aziendale è aperta, allora tutto cambia e le performance, in un ambiente sano, fatto di relazioni pulite, cresce vertiginosamente.