C’è chi nasce e, in più, cresce, nonostante la crisi. E c’è chi non solo cresce, ma anche innova. Malgrado la pandemia, secondo il ministero dello Sviluppo economico, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è continuato ad aumentare (+10,4% rispetto al 2019), superando la soglia delle 12mila unità.
La maggior parte delle startup (quasi il 75%) opera nel comparto dei servizi alle imprese, ma rilevante appare l’incidenza delle startup culturali e creative e delle imprese energetiche e green. A dimostrazione della sana e resistente costituzione di queste neoimprese è anche la misura, denominata Voucher 3i, riservata alle start up innovative: al 31 gennaio 2021, sono state presentate 3.020 richieste, a fronte delle quali sono stati concessi circa 10 milioni di euro a 2.501 domande.
Secondo fonti ministeriali, la forza di queste imprese è legata all’attitudine al digitale e allo smart working che le caratterizza, velocità e flessibilità nel rispondere alle nuove esigenze, elevato livello di competenze tecniche e informatiche. Questa capacità di resilienza e di forte adattamento al contesto seppur turbolento fa riflettere.
Sembrerebbe ovvio il pensiero che più la crisi avanza e più si deve cercare rifugio nel posto fisso, nel pubblico impiego, nella firma di un contratto a tempo indeterminato. Ma è proprio vero?
Due le considerazioni necessarie: da una parte, oggi il mercato del lavoro non offre sufficienti possibilità di una posizione stabile, come si poteva garantire trent’anni fa. Ora i connotati sono proprio differenti e la mutazione impedisce un simile assetto. Dall’altra, le nuove esigenze dei millennials, sempre più convinti che il lavoro non sia tra le quattro mura dell’ufficio, ma possa essere svolto ovunque, stanno radicalmente cambiando il concetto stesso di occupazione, al punto che le stesse risorse umane hanno sconvolto i processi di recruiting per far sì che fossero attraenti per le nuove generazioni.
Se guardiamo il bisogno per i neolaureati di avere, certamente, uno stipendio, ma commisurato a progetti, obiettivi, premi possiamo riconoscere in esso una struttura mentale più da manager che non da neoassunto o entry level. E possiamo dedurre che, forse, l’evoluzione del mercato è anche trainata dall’evoluzione dei protagonisti del lavoro.Quel che è vincente oggi non è la stabilità, quanto l’autoimprenditorialità che, se da una parte è cogente data la mancanza di lavoro dipendente, dall’altra è la conseguenza di un’esigenza precisa: investire su se stessi, scommettere di continuo sulla propria crescita personale.
È la persona al centro del lavoro, il tanto sentito capitale umano. È un segno dei tempi nei quali vince la resilienza, e non la rigidità, vince l’adattamento, non voltarsi indietro, vince la formazione costante, non l’accontentarsi.